Revoca del Sequestro del conto cointestato

Frequenti nella prassi sono i casi nei quali l’Autorità Giudiziaria, specialmente nella fase delle indagini preliminari, disponga un sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. – finalizzato alla confisca – “di tutti i beni riconducibili” alla persona sottoposta a procedimento penale, tra cui figurino anche conti correnti bancari cointestati a soggetti che nulla hanno ha che vedere con le indagini.
Il caso tipico è il sequestro su un conto corrente cointestato a due coniugi, o a genitori e figli.
In questi casi, è interesse del soggetto cointestatario del conto, ma non “colpito” dal procedimento penale, ottenere la revoca del sequestro preventivo, almeno sulla “parte” del conto corrente riconducibile pro quota a questi.
La giurisprudenza più rigorosa ha costantemente affermato che, in questi casi, ciò che conta non è il collegamento tra conto corrente e reato per cui si procede a rilevare, bensì la mera “disponibilità” del c/c al prevenuto, cioè all’indagato.
Pertanto, affermava che il sequestro sul c/c cointestato fosse legittimo, perché attraverso la cointestazione l’indagato poteva “comunque disporre” dei relativi fondi.
Sul punto, la recente giurisprudenza della Suprema Corte si è invece attestata su un’altra e più ragionevole posizione.
In particolare, la Cassazione è ora costante nell’affermare che, qualora si proceda a sequestro di beni cointestati all’indagato ed a terzi estranei al reato, occorre un attento, rigoroso e puntuale vaglio relativo alla concreta ed effettiva riconducibilità dei beni de quibus al prevenuto, dovendosi sempre rispettare il diritto di proprietà dei terzi estranei e quello di personalità della responsabilità penale, principi costituzionalmente sanciti dagli artt. 41 e 27 Cost., nonché il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Giova richiamare, in particolare, la decisione Cass. 29898/13, per la quale: “…anche a prescindere da questo, non si può non constatare che il giudice di merito ha frainteso il contenuto di detta giurisprudenza, la quale – in termini indubbiamente applicabili anche alla fattispecie de qua – illustra il c.d. principio solidaristico in relazione alla confiscabilità e al preventivo sequestro, rilevando che, in caso di comproprietà del bene, il sequestro, quale cautela reale prodromica a una misura ablativa dal contenuto sostanzialmente sanzionatorio come è la confisca, può comunque assoggettare il bene nella sua interezza solo quando è dimostrato che esso sia comunque nella disponibilità dell’indagato (al riguardo, da ultimo, in generale sul sequestro preventivo per equivalente v. Cass. sez. III, 20 aprile 2012 n. 15210) oppure – e questo è il limite e, al contempo, la misura della compressione del diritto del terzo estraneo all’illecito – in ipotesi di assoluta necessità, rappresentate dalla indivisibilità del bene o da comprovate esigenze di sua conservazione per evitarne la dispersione e il detrimento del valore, essendo altrimenti assoggettabile alla cautela esclusivamente la quota di proprietà intestata all’indagato. Il Tribunale non ha quindi percepito che comunque l’intestazione a terzi comporta la necessità di una attenta verifica in ordine ai presupposti dell’assoggettamento totale, cioè all’esistenza di una reale disponibilità completa da parte dell’indagato oppure alla sussistenza delle specifiche caratteristiche del bene, sopra richiamate, idonee a giustificarne il sequestro nella sua interezza; e tale verifica non ha espletato, così incorrendo nella violazione di legge denunciata dal ricorrente” (enfatizzazioni dell’esponente: n.d.r.).
Allo stesso modo, Cass. 38641/18 ha affermato che: “Per quanto attiene al sequestro preventivo di beni appartenenti a terzo estraneo, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il giudice ha un dovere specifico di motivazione sul requisito del periculum in mora, sia pure in termini di semplice probabilità del collegamento di tali beni con le attività delittuose dell’indagato, sulla base di elementi, che appaiano concretamente indicativi della loro effettiva disponibilità da parte di quest’ultimo per effetto del carattere meramente fittizio della loro intestazione, ovvero di particolari rapporti in atto tra il terzo titolare e l’indagato (Sez. 2, n. 47007 del 12/10/2016, Domus Milano s.p.a., Rv. 268172; Sez. 2, n. 32647 del 17/04/2015, Catgiu, Rv. 264524). Non è poi sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo al terzo intestatario, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della riferibilità concreta degli stessi all’indagato”.
Si richiama altresì Cass. 29448/18: “…ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter cod. pen. della somma di denaro depositata su un conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, la misura preventiva reale si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato, senza che a tal fine possano rilevare presunzioni o vincoli posti dal codice civile (artt. 1289 e 1834), ferma restando la possibilità nel prosieguo di procedere ad un effettivo accertamento dei beni di esclusiva proprietà di terzi estranei al reato, in particolare nell’ipotesi in cui l’indagato, in forza di una delega ad operare senza limitazioni, avesse la possibilità di disporre dell’intera provvista delle somme e dei valori depositati sul conto corrente cointestato (Sez. 2, Sentenza n. 36175 del 07/06/2017 Rv. 271136)”.
Significativa è anche Cass. 11288/10, nella quale, in fattispecie relativa al sequestro preventivo disposto in relazione a reati tributari, la Corte ha affermato che il provvedimento che dispone il sequestro preventivo ex art. 321 cod. pen., sia pur nei suoi limiti connaturati, deve pur sempre riguardare cose che si trovino in rapporto di pertinenza con i reati in ordine ai quali sono svolte le indagini, e qualora oggetto del sequestro siano somme di denaro depositate presso istituti di credito, il rapporto di pertinenza fra le cose ed i reati deve essere individuato e chiarito nella motivazione del provvedimento, nel senso che deve trattarsi di denaro che costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo del reato oppure che sia servito a commetterlo o, comunque, concretamente destinato alla commissione del medesimo.
Nello stesso senso, Cass. 19105/11, secondo cui “Ai fini dell’adozione del sequestro preventivo, occorre un collegamento tra il reato e la cosa sequestrata e non tra il reato e la persona e non è indispensabile l’individuazione del responsabile del reato (Nella specie, la Corte ha ritenuto illegittimo il provvedimento di sequestro preventivo di conti correnti cointestati in cui si ometta la motivazione sulle modalità mediante le quali il denaro di provenienza illecita sia confluito sul conto corrente del terzo cointestatario e sulla necessità di sequestrare l’intero conto corrente del terzo e non solo le somme di provenienza illecita confluite sul predetto conto)”.
Tali principi sono consacrati anche a livello sovranazionale: l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, infatti, proclamata a Nizza il 2 dicembre del 2000, dispone che “ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporre e di lasciarli in eredità”; così come il Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU dispone che: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.