La Legge m. 3/2019, recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”, ma meglio nota come “Spazza-corrotti”, è intervenuta – malauguratamente – anche sull’art. 4-bis Ord. Pen.
Con l’entrata in vigore di tale norma, e cioè dal 31/01/2019, il novellato art. 4-bis Ord. Pen. prevede che anche per i delitti di cui agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge o a norma dell’articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale.
In sostanza, i c.d. “benefici penitenziari” potranno essere concessi a coloro che sono stati anche per alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione, solamente a condizione che collaborano con la Giustizia.
Tale collaborazione può avvenire nelle “classiche” forme dell’art. 58-ter Ord. Pen., secondo il quale: “Le disposizioni del comma primo dell’articolo 21, dei comma quarto dell’articolo 30-ter e del comma secondo dell’articolo 50, concernenti le persone condannate per taluno dei delitti indicati nel comma primo dell’articolo 4-bis, non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati”.
Oppure, tale collaborazione può essere quella specificamente prevista per la categoria di reati considerata dal Libro II, Capo II, Titolo I c.p., e cioè dall’art. 323-bis c.p., rubricato “circostanze attenuanti”.
Più precisamente, la norma de qua dispone come che: “1. Se i fatti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-quater, 320, 322, 322-bis e 323 sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite. 2. Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e322-bis, per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi”.
L’art. 323-bis c.p. si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 58-ter Ord. Pen.: infatti, l’elemento comune alle due ipotesi è la collaborazione con l’A.G. per evitare il protrarsi/prodursi delle conseguenze dannose del reato, e per aiutare a “mettere al sicuro” fonti di prova, nonché per l’individuazione degli altri responsabili.
Ma l’art. 323-bis c.p. prevede, in aggiunta alle ipotesi “classiche”, la collaborazione per consentire all’A.G. di “mettere le mani” sulle somme e/o le utilità oggetto del reato (pezzo della corruzione, oggetto della sottrazione/malversazione, somma estorta dal concussore).
Fuori da queste ipotesi di collaborazione con l’A.G., il condannato non avrà possibilità di accedere ai benefici.
Ciò significa che la pena andrà eseguita immediatamente, dato che ai sensi dell’art. 656, comma 4-bis (ancora 4-bis….questa numerazione perseguita i condannati!), c.p.p., l’ordine di esecuzione non può essere sospeso nemmeno quando la pena in concreto da eseguire sia inferiore ad anni 4 di reclusione (come indicato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 4/2018).
Infatti, il detto comma 4-bis dell’art. 656 c.p.p. prevede che “Al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell’articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354”.
Dato che si l’art. 656 c.p.p. è norma processuale, l’emissione dell’ordine di esecuzione è assoggettata al principio tempus regit actum, e pertanto tutti coloro che sono stati condannati prima del giorno 31/01/2019, ma nei cui confronti non è ancora stato notificato l’ordine di esecuzione con contestuale sospensione dello stesso per 30 giorni ai fini delle istanze di ammissione a misure alternative alla detenzione, ex art. 656 comma 5 c.p.p.
Sul punto, va richiamata Cass. 56414/18, per la quale: “È assodato poi che….essendo detenuto per un delitto previsto dall’art. 4-bis cit., atteso che la materia dell’esecuzione della pena ha natura processuale, per cui il principio che governa la scelta della norma applicabile va correttamente identificato in quello di cui all’art. 11, secondo comma, disp. prel. cod. civ. (tempus regit actum)”.
Non si scappa: secondo il pacifico orientamento della Suprema Corte, le norme attinenti all’esecuzione della pena non hanno carattere sostanziale, e pertanto non trova applicazione il principio del favor rei in relazione alla lex mitior.
Si segnala, tuttavia, che la Corte Costituzionale ha già avuto modo di intervenire più volte per dichiarare l’illegittimità costituzionale di alcune previsioni dell’Ordinamento Penitenziario limitative di determinati benefici in relazione a condanne per delitti rientranti nel novero di cui all’art. 4-bis Ord. Pen.
In particolare e fra le altre, si richiamano Corte Cost. 174/18, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 21-bis Ord. Pen. on consente l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci oppure lo subordina alla previa espiazione di una frazione di pena, salvo che sia stata accertata la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 58-ter della medesima legge; e Corte Cost. 149/18, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 58-quater, comma 4, Ord. Pen., ella parte in cui si applica ai condannati all’ergastolo per il delitto di cui all’art. 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato, e nella parte in cui si applica ai condannati all’ergastolo per il delitto di cui all’art. 289-bis del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato.
In un’ottica di adeguamento del sistema ai principi costituzionali di funzionalizzazione della pena alla risocializzazione e rieducazione del condannato, nonché a quelli sociologici che dimostrano quanto invece sia “desocializzante” e criminogeno il “passaggio dal carcere” per i condannati a pene detentive relativamente brevi (fino a 4 anni), l’intervento normativo recato dal c.d. “Spazza-corrotti” non può che destare perplessità, destinate a sfociare in ulteriori valutazioni da parte della Consulta.